Come molti saprete il campo estivo è il cuore delle nostre attività: sono quei 10-15 giorni tanto attesi dai ragazzi e costruiti in un intero anno di attività in sede. Ma le storie che qui raccontiamo vengono da un altro campo, iniziato molto tempo fa e la cui storia si è oramai conclusa. Si tratta del campo nomadi di via delle Bonifiche a Ferrara, stretto in un lenzuolo di terra tra un traliccio dell’alta tensione, il canale e il polo petrolchimico.
Un luogo popolato, negli ultimi 30 anni, da alcune famiglie Sinti che si sono stabilite qui nel 1989. Il 2 agosto 2019 è cominciato lo sgombero, deciso con urgenza dall’amministrazione comunale e le famiglie hanno lasciato per sempre il campo. Negli ultimi mesi, i toni in merito a questa faccenda si sono molto inaspriti, sono state usate parole e giudizi molto negativi, espressi con modalità che non possiamo condividere. Perché, prima di tutto, qui si parla di persone. Crediamo, quindi, che non possa essere questa l’unica immagine che resta di quello che è stata la realtà del campo nomadi in questi anni. Una realtà di cui non dimentichiamo le criticità, ma di cui vogliamo raccontare da un’altro punto di vista, per come l’abbiamo vissuta noi scout negli anni passati, come luogo di reciproca conoscenza, di relazione, anche faticosa, di condivisione, di servizio, tutte cose che non possono essere semplicemente spazzate via. Lo facciamo attraverso le parole di alcuni ragazzi scout che hanno dedicato un po’ del loro tempo, si sono avvicinati alla realtà del campo nomadi e si sono aperti all’incontro con un’altra cultura e con le persone che questo luogo lo hanno abitato e vissuto. Queste sono le loro “storie dal campo”.
La storia dal campo di Elena
“Ricordo il mio arrivo, un lunedì di ottobre, nebbia fitta, strada strettissima infinita, canale da entrambi e lati e io fresca di patente abbastanza perplessa su dove stessi andando. Ma appena arrivata una manciata di bimbi e Daria del Germoglio fanno scomparire d’improvviso tutte le mie preoccupazioni. Lei mi accompagna dentro il container che funge da doposcuola e casa di una famiglia. La nonna mi accoglie con un sorriso e un filo di diffidenza negli occhi che mi sarebbe voluto tutto l’anno per cancellare. Le bimbe mi mostrano i loro braccialetti e mi pettinano i capelli, i bimbi giocano a nascondino sotto il tavolo..ma quando dalla porta entra il maestro Marcello tutti fingono di essere studiosi modello. Il maestro chiede ad una bimba perché non era scuola in quei giorni. “Al nonno si è rotta la macchina e non può più portarmi a scuola!” “Adesso troviamo una soluzione, intanto qui ci sono i compiti per domani!” Finalmente si inizia a studiare. Ogni tanto arriva qualche mamma a sbirciare timidamente quel che succede e ad incoraggiare i bambini a fare i compiti. Ho visto molte di loro firmare con una “x” le pagelle di metà quadrimestre e ho capito quanto ci tenessero che per i loro figli fosse diverso.
Nel corso di quei lunedì pomeriggio d’inverno, sono entrata in tante kampine (roulotte) senza mai capire quali bimbi ci abitassero.. Loro entravano e mi invitavano a casa di tutti senza distinzioni e le donne sgridavano ognuno come fosse figlio loro. Abbiamo giocato tanto su quella lastra di cemento, con le ragazzine già donne negli atteggiamenti ma ancora bambine nel cuore che ci guardavano da dietro l’albero. Ricordo i volti concentrati per decifrare quei complicati simboli scritti sui libri e la soddisfazione stampata in fronte quando ci riuscivano, come avessero scalato una montagna altissima. Ricordo il sorriso di una bimba su un’altalena in un parco di Ferrara: poter giocare sull’erba invece che sul cemento per lei era come toccare il cielo. Il campo non era bel posto dove crescere ma era un posto dove ci si sentiva sicuri.
Molte altre cose ricordo… ma la cosa più magica è stata tornare al campo dopo 12 anni e sentirsi dire: “mi ricordo il tuo sorriso”. Questa piccola comunità mi ha insegnato molto di più dell’alfabeto che cercavo di insegnare a quei piccoli bellissimi monelli! Cose difficili da descrivere a parole perchè questo non è il loro canale di comunicazione, ma che restano dentro per sempre. Per questo oggi seguo il loro incerto futuro, sussulto e rabbrividisco ogni volta che sento violenza nei loro confronti..non vedo come questa piccola, indifesa e fragile comunità possa meritare tutto questo.”
La storia dal campo di Lorenzo
Pensare a tutto ciò che sarebbe normale per la mia mentalità, per la mia società, per il mio modo di essere, per come mi hanno educato i miei genitori e rovesciarlo, mixarlo, shakerarlo e tirane fuori un bel frappè, magari aggiungendo qualche reminiscenza indiana e orientale…
Ecco quello che potrei raccontare facendo un po’ di teoria sulla mia quotidianità nei 5 anni di lavoro come operatore/mediatore culturale al Campo Nomadi di Ferrara. Potrei raccontare di come è apparentemente strano, eppure così scomodo vivere sempre e comunque su una roulotte o su di un camper, oppure degli odori di ogni tipo e provenienza che le mie narici hanno inspirato in ogni occasione, o i cibi particolari e speziati che ho assaggiato, mangiandoli magari in piedi stipati in 12 in una “kampina” (roulotte nel loro dialetto) mentre fuori scendeva il diluvio…ma forse ogni aneddoto e ogni cosa capitata in questo periodo non sarebbe abbastanza efficace per rendere in maniera concreta quella che è stata la parola chiave del mio lavoro: CONFRONTO CON LA DIVERSITA’!
In questi anni ho avuto la fortuna (e credo di essere stato veramente fortunato a poter vivere determinate esperienze!) di poter crescere nel costante incontro di due culture diverse: ecco allora la possibilità di cogliere gli aspetti contraddittori della nostra monolitica cultura attraverso gli occhi e le parole dei bambini che si lamentano e non capiscono la scuola, degli anziani che hanno paura dell’ospedale e del dentista, degli adulti che capiscono solo il carabiniere (perché lo temono!), il prete (perché li aiuta) e il presidente della circoscrizione (perché li ospita!). Ecco la possibilità di ragionare che spesso facciamo le cose perché le abbiamo sempre fatte così, perché vanno sicuramente bene, senza porci troppi dubbi sul come ma soprattutto sul perché e la capacità di organizzare cose diverse dal solito: la gita al mare, ma come la farebbero gli zingari, ovvero senza una meta precisa, mangiando dove capita e facendo di tutto un po’, il doposcuola dove si canta, si balla, si cucina, si parla la loro lingua, laboratori teatrali e di artigianato dove si fanno le cose a loro modo, gli incontri con gli ufficiali e gli altri addetti del comune presso il campo, a casa loro!
E allora il pensiero mi torna al primo giorno, in cui un po’ timoroso e soprattutto molto curioso, sono stato accompagnato al campo dagli altri volontari e ho cominciato a curiosare fra le kampine e a giocare con i tanti bambini; il pensiero che mi martellava in testa: sono così diversi da noi, per stare con loro devo fare spazio nel mio cuore, nella mia testa a loro, al loro modo diverso di guardare, di parlare, di affrontare i problemi e di trovare soluzioni! Per stare con loro ho fatto tanto posto in me, così come loro per accettare le mie domande, le mie parole, il mio aiuto, la mia compagnia, le mie proposte spesso diverse dal loro modo di essere… Dopo anni anche tante soddisfazioni, tante persone incontrate, tante difficoltà, ma con la sicurezza che il loro modo tipico di salutarmi quando me ne andavo alla sera dal campo…DIKAIMI (arrivederci!)…rimarrà impresso nel mio cuore e mi permetterà di guardare agli zingari come amici e compagni di strada!
In conclusione
Abitare come scout questa periferia, attraverso il servizio di questi ragazzi, è stato per noi vivere concretamente l’impegno a spenderci là dove esistono situazioni di marginalità, così come recita il nostro Patto Associativo, facendoci prossimi e sentendoci fratelli degli “ultimi” che incontriamo. Crediamo fermamente nel rispetto della dignità di ogni persona ed è per questo che abbiamo sottoscritto, insieme a molte altre associazioni ferraresi, due comunicati, che sotto riportiamo, in cui abbiamo chiesto all’amministrazione che siano garantiti progetti seri e percorsi adeguati per le persone che saranno allontanate dal campo. Solo in questo modo si potrà lavorare per cercare di raggiungere l’obiettivo, importante e ambizioso, di una vera integrazione. Non si può prescindere dalle persone, parte attiva di questi percorsi, e non si può nemmeno dimenticare quanto di positivo è accaduto in questi 30 anni e da qui ripartire, anche con nuove modalità. Per questo motivo, abbiamo ritenuto importante proporre una narrazione diversa di quello che è stato, sperando che le storie che abbiamo raccontato non rimangano solo le storie di Elena e Lorenzo ma che idealmente diventino anche un po’ di tutti noi, perché in fondo ci riguardano: le nostre storie dal campo.
Comunicato 1: https://www.estense.com/?p=795253
Comunicato 2: http://www.ferraragesci.it/wp-content/uploads/2019/10/1.8.19-Comunicato-sgombero-campo-nomadi-definitivo.pdf